La lotta alla Camorra nel Sud-Pontino

Da anni si assiste in tutta la zona del Sud Pontino (Formia, Fondi, Sabaudia, Gaeta e dintorni) al dilagare di fenomeni speculativi che hanno consentito una cementificazione selvaggia e frequenti fenomeni di abusivismo agevolati dalle connessioni tra politica ed imprenditoria locale. In questo intreccio hanno trovato e trovano terreno fertile le organizzazioni affaristico/malavitose campane e calabresi interessate ad investire ingenti capitali di provenienza illecita nel settore edile ed in quello turistico/commerciale. In particolare, il territorio pontino è infestato da pericolosi clan criminali come i Bardellino, Esposito/Giuliano, Mallardo, Moccia, Casalesi, Bidognetti e Fabbrocino a Formia, il clan Nuvoletta di Cosa Nostra nella zona portuale di Gaeta, il clan Schiavone/Mallardo della ’Ndrangheta a Fondi, i clan Mallardo, Fabbrocino e Schiavone a Itri e il clan Cava/Schiavone a Sabaudia.

Si è dimostrata priva di efficacia l’opera di contrasto da parte delle forze dell’ordine locali, mal distribuite sul territorio ed impreparate a svolgere indagini patrimoniali per aggredire i capitali di origine illecita. L’esistenza di due commissariati di polizia tra Formia e Gaeta, ad esempio, ha portato ad uno spreco di uomini e risorse che si potrebbero evitare istituendo – come proposto dall’Associazione Caponnetto – un unico distretto dotato di un’apposita squadra di polizia giudiziaria che consenta di aumentare i controlli sul territorio e contrastare il traffico di capitali illeciti.

Sarebbe anche utile affiancare alla direzione distrettuale Antimafia (DDA) di Roma le procedure di Latina e Cassino dotandole della delega alle indagini ex articolo 51 comma 3-bis del Codice di procedura penale per la persecuzione dei reati di cui all’articolo 416-bis del Codice penale («Associazione di tipo mafioso»). Vi sono infatti i presupposti perché si scateni a Formia una guerra di camorra tra i clan Esposito/Giuliano o Bardellino, entrati in conflitto per motivi legati ad interessi economici concorrenti ed al massiccio traffico di stupefacenti praticato da entrambi nel Sud Pontino. Il rischio di una escalation di atti di violenza è molto elevato, come lasciano presagire le risse e gli avvertimenti di stile camorristico susseguitisi nelle ultime settimane di fronte ad alcuni bar della città, come riportato dalla stampa locale.

In merito alla situazione descritta sopra, abbiamo depositato un’interrogazione a risposta scritta (Atto Camera 4-01155, leggi l’atto) per chiedere ai Ministri dell’Interno e della Giustizia, per quanto di loro competenza, se intendono adottare con urgenza ogni misura di polizia idonea a prevenire un’eventuale guerra di camorra nella città di Formia e, più in generale, nel Sud Pontino, anche attraverso l’avvio di verifiche patrimoniali a tappeto e con l’ausilio di reparti specializzati quali i gruppi di investigazione sulla Criminalità organizzata (GICO) della Guardia di finanza.

Abbiamo anche chiesto al Ministro dell’interno se ritenga di approfondire la proposta dell’associazione Caponnetto circa la creazione di un unico distretto di polizia nel Golfo di Gaeta che unifichi le funzioni dei due commissariati attualmente esistenti per contrastare più efficacemente la criminalità organizzata.


Procreazione assistita: il diritto alla diagnosi pre-impianto

Il Tribunale di Cagliari, con ordinanza del 9 novembre 2012 ha stabilito che l’Azienda Sanitaria Locale (ASL) e l’Ospedale Regionale per le Microcitemie di Cagliari, in persona del suo legale rappresentante, debbano eseguire, nell’ambito dell’intervento di procreazione medicalmente assistita, l’esame clinico e diagnostico sugli embrioni e trasferire in utero, qualora richiesto dalla donna, solo gli embrioni sani o portatori sani delle patologie da cui i genitori risultino affetti. La citata ordinanza ha disposto altresì che, qualora la struttura sanitaria pubblica si trovi nell’impossibilità di erogare la prestazione sanitaria tempestivamente in forma diretta, tale prestazione possa essere erogata in forma indiretta, mediante il ricorso ad altre strutture sanitarie.

È dunque lecito effettuare la diagnosi pre-impianto qualora “sia stata richiesta dai soggetti indicati nell’art. 14, 5° comma, Legge 40/2004 coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugati o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi, abbia ad oggetto gli embrioni destinati all’impianto nel grembo materno e sia strumentale all’accertamento di eventuali malattie dell’embrione per garantire a coloro che abbiano avuto legittimo accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita una adeguata informazione sullo stato di salute degli embrioni da impiantare.

Quanto espresso nell’ordinanza ribadisce i principi affermati dallo stesso tribunale di Cagliari e da quello di Firenze rispettivamente con la sentenza del 24 settembre 2007 e con l’ordinanza del 17 dicembre 2007. In quelle sedi, i ricorrenti avevano ottenuto che fosse dichiarato in via cautelare il diritto ad una diagnosi genetica pre-impianto al fine di trasferire e impiantare embrioni che non presentassero in forma conclamata la specifica patologia di cui erano portatori i genitori. Questi ultimi avevano ricevuto il rifiuto della struttura sanitaria alla diagnosi a seguito dell’entrata in vigore della Legge 40/2004 e delle Linee Guida sulla Procreazione medicalmente assistita di cui al decreto del Ministro della Salute del 21 luglio 2004. Sebbene non abbia riguardato direttamente il tema della diagnosi pre-impianto, va anche ricordata, per le argomentazioni e i principi desumibili, la sentenza della Corte Costituzionale dell’8 maggio 2009, n. 151, con la quale è stata, tra l’altro, dichiarata la incostituzionalità dell’art. 14, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna. Nel giudizio di legittimità costituzionale, la Corte ha messo in evidenza come, dalla stessa legge n. 40 del 2004 si evinca che la tutela dell’embrione non è assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione.

Successivamente, il Tribunale di Salerno, in data 9 gennaio 2010, ha ammesso con ordinanza la diagnosi pre-impianto sull’embrione anche per coppie fertili che presentino un rischio qualificato di trasmissione di malattie gravi e inguaribili. Lo scopo primario della diagnosi pre-impianto è infatti proprio quello di consentire ai genitori una decisione informata e consapevole in ordine al trasferimento degli embrioni ovvero al rifiuto di detto trasferimento. Ad oggi sono trascorsi otto mesi dalla pronuncia del Tribunale, ma l’Ospedale per le Microcitemie di Cagliari non ha ancora effettuato alcuna diagnosi pre-impianto e, nonostante i ripetuti solleciti, la ASL non ha ancora attivato alcuna convenzione per affidare gli esami ad una struttura sanitaria esterna, come prescritto dall’ordinanza stessa.

Con l’interrogazione a risposta scritta n. 4-01001 (leggi l’atto) abbiamo chiesto al Ministro della Salute se intenda accertare la mancata ottemperanza da parte dell’Ospedale per le Microcitemie e della ASL di Cagliari di quanto disposto dall’ordinanza del 9 novembre 2012 ed invitare dette strutture sanitarie a compiere tutti gli atti necessari per eseguire, senza ulteriore ritardo, gli esami diagnostici richiesti. Abbiamo anche chiesto al Ministro se ritenga di attivarsi perché siano assicurati su tutto il territorio nazionale i trattamenti medici previsti dalla Legge n. 40 del 19 febbraio 2004, al fine di garantire l’uguaglianza dei cittadini ed il fondamentale diritto alla salute, come previsto dagli artt. 3 e 32 della Costituzione.


La centralità del Parlamento

Il Governo si impadronisce del potere legislativo attraverso l’emanazione sistematica di decreti legge cui si accompagna la puntuale dichiarazione di inammissibilità degli emendamenti “scomodi” rispetto alle finalità dei decreti. Vengono così di fatto impedite le modifiche ai provvedimenti del Governo e ciò configura una delegittimazione gravissima del Parlamento che si ritrova privato della sua funzione democratica e della centralità riconosciutagli dalla Costituzione.

https://www.youtube.com/watch?v=aU15eOWphTk


Proposta di legge per contrastare i reati societari e tributari

La Proposta di legge n. 1205 “Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di reati societari e tributari, nonché modifiche alle disposizioni penali in materia fallimentare“, presentata il 14 giugno 2013, intende rendere più severo il sistema sanzionatorio vigente in materia di reati societari, di illeciti finanziari e di revisione legale, su cui neanche la Legge n. 190 del 6 novembre 2012 – “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione” – ha voluto/potuto intervenire incisivamente, contraddicendo i continui richiami della comunità internazionale (OCSE) sulla necessità di tutelare l’integrità dei sistemi finanziari e la trasparenza degli affidamenti economici, per addivenire ad un efficace contrasto dell’evasione fiscale, della criminalità organizzata e della corruzione.

A tutela della fede pubblica e della concorrenza, in contrasto alla corruzione e all’evasione fiscale devono essere apportate alcune modifiche al Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 in materia di reati tributari con riguardo particolare alle dichiarazioni fraudolente (fatture riguardanti operazioni inesistenti) o infedeli (dichiarazioni di attivi inferiori a quelli effettivi o di passivi fittizi) finalizzate all’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto (Iva).

Il connotato di maggiore severità della disciplina che si vuole introdurre si esprime anche nell’aumento delle pene accessorie previste per i reati tributari e nell’anticipazione al momento del rinvio a giudizio del termine per beneficiare, attraverso l’estinzione tardiva del debito, della riduzione fino alla metà della pena principale e della non applicazione di quelle accessorie. L’estinzione tardiva del debito al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado deve comportare invece soltanto la riduzione fino a un terzo della pena principale.

La parte finale della Proposta di legge modifica poi alcune disposizioni della Legge Fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 e successive modificazioni) aumentando le pene principali e quelle accessorie stabilite per la bancarotta fraudolenta e per il ricorso abusivo al credito, fatta salva una riduzione fino alla metà della sanzione per fatti comportanti un danno patrimoniale di particolare tenuità. Divengono più severe anche le pene fissate dalla legge per il fallito che denunci creditori inesistenti, per il curatore infedele o per quello che accetti una retribuzione non dovuta.


Proposta di legge per la prevenzione e il contrasto della corruzione

La Proposta di legge n. 1194 Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, al codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, alla legge 6 novembre 2012, n. 190, e al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, per la prevenzione e il contrasto della corruzione”, presentata il 12 giugno 2013, intende aumentare in modo generalizzato la severità dell’impianto sanzionatorio del codice penale riguardante le fattispecie corruttive, nonché quelle affini e ad esse collegate, rafforzare gli strumenti repressivi in materia di responsabilità amministrativa e potenziare il vigente sistema di prevenzione delle condotte corruttive.

La lotta alla corruzione è da tempo diventata, anche per effetto della profonda crisi che coinvolge le più avanzate economie mondiali, una priorità nelle agende politiche internazionali: minando la fiducia dei mercati e delle imprese, il diffondersi delle prassi corruttive determina, infatti, tra i suoi molteplici effetti, una grave perdita di competitività.

Le dimensioni assunte dal fenomeno corruttivo in Italia negli ultimi anni impongono l’urgente rafforzamento degli strumenti di repressione e di quelli di prevenzione che incidano in modo organico e determinato sui fattori che favoriscono la diffusione della corruzione. Queste tipologie di interventi non possono prescindere dalla promozione costante della cultura della legalità e del rispetto delle regole, tassello fondamentale per la riconquista dell’integrità e della credibilità perdute.


Proposta di legge per introdurre il reato di autoriciclaggio

Con la Proposta di legge n. 1195 “Modifiche al codice penale, al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e al decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, in materia di riciclaggio, autoriciclaggio e detenzione di attività finanziarie all’estero“, presentata il 12 giugno 2013, intendiamo introdurre una normativa che punisca il cosiddetto «autoriciclaggio», cioè il reimpiego e la reimmissione sul mercato di risorse provenienti da reato da parte di chi lo ha commesso.

La sanzione penale di tale condotta è infatti assente nell’ordinamento italiano e contrasterebbe, invece, uno dei principali canali di occultamento dei proventi delittuosi, in particolare del crimine organizzato, dei reati economici e di corruzione.

La previsione di una fattispecie autonoma di reato – a valle della corruzione e del falso in bilancio – costituirebbe un valido ostacolo alla concretizzazione ultima del vantaggio patrimoniale conseguito con l’attività illecita. Falso in bilancio e riciclaggio o autoriciclaggio costituiscono, infatti, gli elementi di congiunzione e di tracciabilità del rapporto corruttivo laddove il primo crea la risorse e il secondo ne disperde le tracce.

L’intervento legislativo che si propone vuole creare un filo logico normativo di rilevanza penale tra diversi reati societari, dalle «false comunicazioni sociali» ai sistemi di il riciclaggio e ai «self-laundering» (autoripulitura), tenuto conto, a maggior ragione, che l’attuale formulazione degli articoli 648-bis (riciclaggio) e 648-ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) del codice penale, escludendo i casi di concorso nel reato, non lasciano spazio a un’incriminazione dell’auto-riciclaggio.


Proposta di legge in materia di prescrizione dei reati

Con la Proposta di legge n. 1174 “Modifiche al codice penale in materia di prescrizione dei reati”, presentata il 7 giugno 2013, si intende scoraggiare la diffusa pratica di trarre un ingiustificato vantaggio dalla lentezza del procedimento penale modificando i termini di prescrizione di cui al primo comma dell’articolo 157 del codice penale, commisurandoli al tempo di durata massima della pena edittale e aumentandoli della metà con un limite minimo di otto anni in caso di delitto e di sei anni in caso di contravvenzione, ancorché punita con la sola pena pecuniaria. Anche il termine di prescrizione per i casi in cui siano previste pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria è aumentato da tre a cinque anni.

Ispirata alla medesima ratio volta a limitare i casi di impunità favoriti dall’abuso del meccanismo prescrizionale è la modifica dell’articolo 158 del codice penale consistente nella reintroduzione del termine di decorrenza della prescrizione del reato continuato fissato nel momento della cessazione della continuazione e non più in quello della consumazione di ciascuno dei singoli reati collegati. L’introduzione delle parole «o continuato» e «o la continuazione» al primo comma dell’articolo 158 del codice penale annulla l’intervento indulgente della legge 5 dicembre 2005 n. 251 (cosiddetta «ex Cirielli») riducendo drasticamente la possibilità di sottrarsi alla pena prevista per questi tipi di reato.

Si prevede inoltre, modificando l’alinea dell’articolo 159 del codice penale, che la sospensione del corso della prescrizione per l’esercizio dell’azione penale si verifica con l’assunzione della qualità di imputato ai sensi dell’articolo 60 del codice di procedura penale, ossia, per la gran parte dei casi, dal momento della richiesta di rinvio a giudizio.

Coerentemente con la modifica dell’articolo 159 del codice penale, la proposta di legge riformula il successivo articolo 160 eliminando la richiesta di rinvio a giudizio dai casi di interruzione della prescrizione e ne abroga l’ultimo comma nella parte in cui esclude il suo prolungamento oltre i termini fissati dall’articolo 157 del codice penale.


Proposta di legge in materia di notificazione alle società irreperibili

Con la Proposta di legge n. 1032 “Modifica dell’articolo 145 del codice di procedura civile, concernente la notificazione degli atti alle persone giuridiche”, presentata il 22 maggio 2013, intendiamo superare l’impasse della mancata notificazione alle società irreperibili attraverso l’individuazione di un luogo certo cui può essere associata la persona giuridica di cui non è nota la sede e al contempo non sono indicati nell’atto i legali rappresentanti.

Mutuando quanto disposto dall’articolo 140 del codice di procedura civile (notifica a persona fisica irreperibile mediante deposito di copia dell’atto nella casa comunale, affissione dell’avviso di deposito alla porta dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda del destinatario e invio della notizia tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento), la riformulazione dell’articolo 145 che qui si propone di introdurre prevede, al terzo comma, che l’ufficiale giudiziario depositi, per le persone giuridiche, la copia dell’atto presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura (CCIA) dove la società risulta iscritta o, se cancellata, presso la sede della CCIA competente secondo l’ultima sede legale riconosciuta.

Nei casi di associazioni non riconosciute e dei comitati di cui agli articoli 36 e seguenti del codice civile, l’ufficiale giudiziario deposita la copia presso la prefettura – ufficio territoriale del Governo (UTG) competente rispetto alla sede indicata nell’articolo 19, secondo comma, del codice di procedura civile e affigge, altresì, avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’ufficio o della sede, dandone notizia alla stessa prefettura – UTG tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Il perfezionarsi della notificazione con il deposito presso la CCIA per le società e presso la prefettura – UTG per le associazioni non riconosciute e per i comitati – consente, dunque, di colmare le lacune dell’attuale articolo 145 del codice di procedura civile e di rimuovere gli ostacoli al regolare svolgimento del processo e alla tutela dei diritti dei cittadini e delle imprese.


Ripensiamo all’accorpamento dei tribunali abruzzesi

I deputati abruzzesi del Movimento 5 Stelle hanno chiesto (con interrogazione a risposta scritta n. 4-00515) al ministro della Giustizia di analizzare più attentamente le conseguenze negative, in termini di economicità ed efficienza del sistema giudiziario, generate dalla soppressione delle sedi distaccate dei tribunali di Avezzano e Sulmona disposta dai decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012 che, in attuazione della legge 148 del 2011, hanno rimodulato i confini delle circoscrizioni giudiziarie prevedendo la cancellazione a livello nazionale di 31 tribunali e altrettante procure nonché la soppressione di 220 sezioni distaccate.

In particolare, a partire dal 13 settembre 2015, le sedi di Sulmona ed Avezzano saranno accorpate al tribunale de L’Aquila che acquisirà così gli atti degli 11.350 procedimenti presenti ad Avezzano (8.303 civili e 3.047 penali) e dei 5.349 procedimenti pendenti presso il tribunale di Sulmona (3.464 civili e 1.885 penali).

Avezzano, con i suoi circa quarantamila abitanti, è il comune di riferimento dell’intero territorio della Marsica che conta circa centomila abitanti. Avezzano risulta essere il terzo tribunale d’Abruzzo, sia per il volume di attività sia per il numero di contenziosi pendenti. La sua importanza deriva anche dalla posizione geografica, dal momento che attraverso la Marsica fanno il loro ingresso in Abruzzo quanti provengono dal basso Lazio e dalla Campania, aree tradizionalmente critiche in termini di criminalità organizzata.

Per via della sua collocazione, la sezione distaccata di Sulmona permette invece ai comuni dell’Alto Sangro e dei più distanti territori dell’Abruzzo montano di accedere alle sedi giudiziarie. In quest’ottica il tribunale di Sulmona copre un’area di servizio molto vasta, di circa 7.000 chilometri quadrati, ed assicura una vantaggiosa contiguità territoriale tra struttura penitenziaria e giudiziaria, visto che all’interno della propria struttura penitenziaria è ubicato uno dei più grandi e importanti carceri del centro-sud.

I parlamentari abruzzesi hanno evidenziato che il tribunale di Sulmona ha peraltro avviato da tempo il cosiddetto «Processo telematico» ed è attualmente tra le realtà operative più virtuose da questo punto di vista. L’innovazione delle procedure ha infatti consentito di aumentare sensibilmente la quantità di atti (citazioni, ricorsi, memorie difensive, decreti, sentenze, e altro) trasmessi in via telematica attraverso il sistema certificato.

Non vi è dubbio che la soppressione delle sezioni distaccate di Avezzano e Sulmona porterebbe ad un aumento dei carichi di lavoro per i tribunali centrali, con conseguente allungamento della durata dei processi ed ulteriore aggravio di costi per la collettività.


Pescara: che fine ha fatto la “multa fantasma”?

Con un’interrogazione a risposta scritta (atto Camera dei Deputati n. 4-00363) abbiamo chiesto al Ministro dell’Interno di convocare il Questore Paolo Passamonti, affinché questi riferisca i motivi dell’inspiegabile sparizione della contravvenzione per divieto di sosta emessa a suo carico nel 2011 dalla Polizia municipale di Pescara.

L’8 dicembre di quell’anno, infatti, la vettura di proprietà del Questore, posteggiata nello spazio riservato alla fermata dell’autobus in una via del centro di Pescara, veniva rimossa e veniva trasportata presso il deposito della polizia municipale locale.

Successivamente, però, lo stesso questore veniva autorizzato a riprendere possesso dell’auto senza corrispondere alcun importo né a titolo di sanzione amministrativa né per le spese di rimozione e deposito del mezzo.

La vicenda ha inevitabilmente generato il sospetto di un ingiustificato privilegio a favore del Questore Passamonti, dato che i proprietari delle altre tre vetture rimosse quello stesso giorno nelle medesime circostanze hanno dovuto pagare non solo la multa, ma anche le spese accessorie previste.

A marzo 2013, l’indignazione per l’accaduto ha indotto i cittadini pescaresi a presentare un esposto-denuncia ai Carabinieri per censurare l’operato della Polizia municipale e del Questore.

In seguito alla presentazione dell’esposto il Sindaco di Pescara, Luigi Albore Mascia, e l’assessore con delega alla Polizia municipale, Giovanni Santilli, hanno richiesto un chiarimento ufficiale al comandante dei vigili urbani, Colonnello Carlo Maggitti.

Detto chiarimento, ad oggi, non è stato ancora formalizzato e, mentre anche il questore Passamonti tace, le istituzioni sembrano essere inerti a dispetto dei diritti dei cittadini e del principio di uguaglianza costituzionalmente garantito.

Come se non bastasse, lo scorso 4 aprile la Procura della Repubblica di Pescara ha addirittura disposto la perquisizione dell’abitazione e dell’ufficio di Marco Patricelli, giornalista del quotidiano Il Tempo ed autore dell’inchiesta sulla «multa fantasma» di cui sopra. L’ipotesi di reato contestatogli è la violazione del segreto investigativo (articoli 114 e 329 del codice di procedura penale).

Tale iniziativa ci sembra assolutamente impropria, considerata la necessità di garantire adeguatamente la piena manifestazione della libertà di stampa, della libertà di espressione e del diritto di cronaca, imprescindibili baluardi della nostra democrazia e della lotta agli abusi di potere e alle prevaricazioni.