Cementificio di Scafa: la “non risposta” del Governo

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, a distanza di due mesi, ha risposto alla nostra interrogazione (leggi il testo) riguardante la chiusura del cementificio di Scafa (Pescara), inaspettatamente anticipata da Italcementi al 31 gennaio 2014.

Il nostro interesse era quello di conoscere l’intenzione o meno del Governo di adottare misure idonee a salvaguardare i 60 posti di lavoro a rischio e ricevere anche conto dell’assegnazione di 50 milioni di euro di fondi pubblici alla ditta Toto Costruzioni Generali Spa per la realizzazione di un nuovo cementificio nella vicina zona di Bussi, in assoluta contraddizione con la situazione di crisi profonda dell’intero settore edilizio, posta dalla stessa Italcementi all’origine della chiusura del suo impianto di Scafa.

Quella del Ministero si rivela una risposta insoddisfacente dal momento che non solo non contiene alcuna informazione in merito al controverso utilizzo di fondi pubblici per il nuovo (ed inquinante) cementificio di Bussi, ma omette anche di riferire quali iniziative saranno concretamente intraprese dal Governo per un rilancio occupazionale eco-sostenibile della zona.


Compagnia Italiana Turismo: ricorso sbagliato, 10 milioni di euro persi

Nel 1927 è stata istituita la Compagnia italiana turismo (CIT), i cui soci fondatori erano le Ferrovie dello Stato, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia e l’Ente nazionale per le industrie turistiche (ENIT), con lo scopo di promuovere l’Italia come destinazione del turismo internazionale.

Nel 1998, in seguito alla privatizzazione dell’azienda, l’imprenditore Gianvittorio Gandolfi ha acquistato la CIT dalle Ferrovie dello Stato.

Dal 1998 al 2002 il gruppo CIT ha operato investimenti per i quali ha ottenuto ingenti finanziamenti da parte dello Stato. Nonostante il consistente flusso di contributi pubblici, dal 2003 al 2005 la società si è indebitata raggiungendo un passivo di 340 milioni di euro.

Nel marzo 2006 il debito ha superato i 600 milioni così che il tribunale fallimentare di Milano ha dichiarato lo stato d’insolvenza della CIT e l’ha ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria. Successivamente, il Ministero dello sviluppo economico si è opposto allo stato passivo della CIT depositato presso il tribunale di Milano, nella speranza di ottenere il riconoscimento del privilegio per un credito di oltre 10 milioni di euro.

Nel 2011 il tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione. L’Avvocatura dello Stato ha impugnato tale decisione presentando un ricorso alla Corte di cassazione per conto del Ministero. Tale ricorso è stato dichiarato inammissibile, dal momento che la legge fallimentare, in casi del genere, prevede l’appello in secondo grado e non il ricorso diretto alla Corte di cassazione.

Il grossolano errore di procedura ha fatto sì che al Ministero dello sviluppo economico non solo fosse definitivamente negata la possibilità di vedere soddisfatto il suo credito di ben dieci milioni di euro, ma anche che gli fossero addebitate le spese processuali per un importo di 15 mila euro.

Con l ‘interrogazione parlamentare n. 5-01200 dell’11 ottobre 2013 (leggi il testo) abbiamo allora chiesto al Governo se sia a conoscenza dell’errore procedurale commesso dall’Avvocatura dello Stato e se sia nelle sue intenzioni adoperarsi perché siano accertate le responsabilità di tale errore e sia sanzionata la condotta colposa che ha compromesso il recupero di una somma ingente – oltre 10 milioni di euro – di denaro pubblico.


Barriere architettoniche: niente fondi, lo Stato latita

Il 4 settembre 2013 il quotidiano locale abruzzese “Il Centro” ha pubblicato la storia della signora Susanna Bultrini, 49enne di Pratola Peligna (L’Aquila) che da 17 anni è affetta da sclerosi multipla. La signora Bultrini vive da 20 anni a Cremona, ma a causa dell’aggravarsi della sua malattia, ha deciso di tornare nella sua cittadina di origine dove potrà contare sull’aiuto di alcuni parenti.

La casa di Pratola Peligna ha una scalinata che impedisce alla signora di accedere liberamente nella sua abitazione. La signora Bultrini si è rivolta all’Ufficio tecnico del Comune di Pratola per ottenere il contributo previsto dalla Legge n. 13 del 9 gennaio 1989 (“Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”) che le consentirebbe di far installare un piccolo ascensore dal costo di 12mila euro.

Il responsabile dell’ufficio l’ha informata che non avrebbe ottenuto il finanziamento pubblico né da parte della Regione Abruzzo né da parte della Provincia dell’Aquila, dal momento che tali enti non hanno fondi disponibili per tali scopi.

In merito a questa vicenda, abbiamo chiesto al Comune di Pratola Peligna, alla Provincia dell’Aquila e alla Regione Abruzzo in che modo fosse possibile reperire le risorse necessarie per risolvere il problema della signora Bultrini.

Il Comune e la Provincia ci hanno risposto che la questione è di esclusiva competenza regionale e così, in data 10 settembre 2013, abbiamo interpellato, attraverso il competente Servizio per l’edilizia residenziale, l’Assessore ai Lavori pubblici della Regione Abruzzo.

Ad oggi, trascorso un mese dalla nostra richiesta, l’Assessore non ci ha ancora fornito alcuna risposta.

Da alcune ricerche in Rete abbiamo comunque appreso che, a partire dall’anno 2000, il Fondo speciale previsto dalla legge n. 13 del 1989 per il superamento e la rimozione delle barriere architettoniche non viene più alimentato dallo Stato, fatta eccezione per un’esigua quota di risorse finanziarie affluenti al Fondo Nazionale per le Politiche Sociali. Proprio per tali ragioni, da anni, le Regioni non sono più in grado di soddisfare alcuna richiesta di finanziamento di interventi rivolti all’eliminazione e al superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati.

Con l’interrogazione parlamentare n. 5-01154 dell’8 ottobre 2013 (leggi il testo) abbiamo allora chiesto al Governo di esprimersi in merito all’urgente rifinanziamento del Fondo speciale per l’eliminazione e il superamento delle barriere architettoniche istituito dalla Legge n. 13 del 9 gennaio 1989.

È infatti necessario dotare le Regioni di adeguate risorse finanziarie affinché queste possano erogare i contributi richiesti per gli interventi di rimozione e superamento delle barriere architettoniche e garantire così ai cittadini invalidi e ai portatori di handicap il diritto ad un’esistenza dignitosa.

Il Governo, a questo punto, ci risponderà?


Phard di Mosciano: da un anno senza Cassa Integrazione

In seguito alla cessazione parziale dell’attività del suo stabilimento di Mosciano Sant’Angelo (Teramo), la Phard Spa, società operante nel settore dell’abbigliamento tessile, ha avviato nel corso del 2011 una procedura di mobilità che si è conclusa con un accordo sottoscritto dalle parti sociali in data 6 dicembre 2011 presso la provincia di Teramo. Tale accordo prevede il ricorso allo strumento della Cassa integrazione guadagni straordinaria per 60 addetti allo stabilimento, per la durata di 24 mesi a partire dal 12 dicembre 2011.

Il 22 dicembre 2011 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, alla presenza delle parti sociali interessate, ha autorizzato la Cassa integrazione guadagni straordinaria per i dipendenti della Phard ed ha approvato un piano di interventi per la gestione delle eccedenze occupazionali dell’azienda. In quella stessa data, la regione Abruzzo e la provincia di Teramo si sono impegnate a promuovere azioni di riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori espulsi dai processi produttivi, secondo le modalità richieste dal Fondo sociale europeo.

Contrariamente a quanto stabilito in sede ministeriale il 22 dicembre 2011, i lavoratori sospesi hanno percepito la cassa integrazione per il solo primo anno, fino al dicembre del 2012, e si sono pertanto trovati privi di reddito a partire dal gennaio del 2013. A causa dell’inaspettato e prolungato blocco della Cassa integrazione guadagni straordinaria gli ex-dipendenti della Phard e le loro famiglie versano attualmente in condizioni di gravissima difficoltà economica.

Con l’interrogazione parlamentare n. 5-01098 (leggi il testo) del 30 settembre scorso abbiamo chiesto al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali se sia sua intenzione disporre con urgenza l’erogazione della seconda annualità (gennaio-dicembre 2013) della Cassa integrazione in favore degli ex-lavoratori dello stabilimento Phard di Mosciano Sant’Angelo (Teramo), così come stabilito nell’accordo sottoscritto con le parti sociali il 22 dicembre 2011.

Abbiamo anche chiesto al Ministro di convocare tempestivamente un tavolo di concertazione tra la regione Abruzzo, la provincia di Teramo ed i rappresentanti sindacali interessati perchè i lavoratori ex Phard siano al più presto ricollocati presso aziende operanti in settori affini nel territorio abruzzese.


Scafa-Bussi: il valzer dei cementifici

Abbiamo presentato un’interrogazione parlamentare (atto n. 5-00959, leggi il testo completo) a sostegno dei lavoratori del cementificio di Scafa (Pescara) che stanno rischiando il posto di lavoro in seguito alla decisione di Italcementi di chiudere il proprio impianto a partire dal 31 gennaio 2014 anziché dal 2015, come precedentemente concordato con il Ministero del Lavoro.

L’azienda ha motivato l’anticipo della chiusura con il perdurare della crisi dell’intera filiera delle costruzioni che ha visto diminuire le proprie vendite di oltre il 50% negli ultimi dieci anni.

In evidente contraddizione con quanto asserito da Italcementi ci è parsa la notizia recente di un interessamento della ditta Toto Costruzioni Generali Spa alla realizzazione di un nuovo cementificio nei pressi di Bussi sul Tirino (Pescara), non molto distante da Scafa, mediante l’utilizzo di circa 50 milioni di euro di fondi pubblici destinati alla bonifica di quel territorio.

Tali fondi, inspiegabilmente congelati dal Commissario straordinario delegato all’emergenza socio-economico-ambientale del bacino del fiume Aterno, potrebbero dunque essere spesi per allestire un nuovo cementificio a soli venti chilometri da un altro cementificio in chiusura.

In merito alla vicenda, abbiamo chiesto l’intervento urgente del Governo non solo per tutelare i lavoratori del cementificio di Scafa, ma anche e soprattutto affinché le risorse economiche pubbliche non siano utilizzate per costruire un nuovo impianto inquinante, ma per realizzare uno sviluppo industriale e occupazionale della zona sostenibile dal punto di vista economico ed ambientale.


Tollo: 500 tonnellate di rifiuti tossici

In provincia di Chieti, e precisamente nella contrada Venna del Comune di Tollo, giace un deposito di materiali tossici da anni in attesa di essere trasferito in un’apposita discarica.

Si tratta di oltre 500 tonnellate di veleni residuati da lavorazioni industriali, composti chimici ad alto contenuto di eternit, piombo, arsenico, alluminio e fanghi di fogna provenienti da industrie del nord-est, ma anche abruzzesi e marchigiani, che versano attualmente in uno stato di completo abbandono.

Una parte del carico, malamente ricoperta, è esposta agli agenti atmosferici e non viene monitorata, un’altra invece è stata interrata nel 2007 in un area protetta da una barriera impermeabile e da un muretto in calcestruzzo e rete metallica.

Il rischio ambientale è molto elevato, se si considera che il torrente Venna, le cui acque scorrono a pochi metri dal deposito dei rifiuti, si riversa nel fiume Foro che bagna 24 comuni tra le province di Chieti e di Pescara.

Il Comune di Tollo ha più volte richiesto alla Regione Abruzzo di attivarsi per la messa in sicurezza del sito, ma non ha ad oggi ricevuto alcuna risposta.

Con l’interrogazione parlamentare n. 5/00936 del 20 agosto 2013 (leggi il testo) abbiamo chiesto al Ministro dell’Ambiente se sia a conoscenza delle condizioni della discarica di Tollo e se sia nelle sue intenzioni convocare al riguardo il Presidente della Regione Abruzzo ed i sindaci dei comuni interessati al fine di trovare urgentemente una soluzione che impedisca il verificarsi di un danno ambientale senza precedenti.


Riconversione degli ex zuccherifici: allarme rosso!

Oggi abbiamo diffuso il seguente comunicato stampa.

Il Governo ci riprova con i commissari ad acta per le riconversioni degli ex zuccherifici, per cercare di imporre più facilmente ai cittadini impianti inaccettabili sul territorio, come le mega centrali a biomasse proposte a Fermo, Castiglion Fiorentino, Celano, Russi, Finale Emilia ed altri.

Con una manovra degna dei peggiori giochi di prestigio, il Governo tenta di far rientrare dalla finestra quello che la Corte Costituzionale ha già cacciato fuori dalla porta appena tre mesi fa: con la sentenza n. 62 del 5 aprile 2013 (leggi la sentenza), infatti, la suprema Corte ha cassato il comma 2 dell’ art. 29 del DL 5/2012 (leggi il testo) con il quale l’allora premier del primo inciucio, il prof. Monti, aveva tentato di legittimare la nomina dei commissari ad acta per le riconversioni degli ex zuccherifici.

Ed in effetti alcuni commissari ministeriali erano stati anche nominati per i siti di Castiglion Fiorentino (Arezzo), Celano (L’Aquila), Finale Emilia (Modena), Portoviro (Rovigo), nonché annunciati per la riconversione di Fermo (leggi l’articolo).

Su istanza della Regione Veneto, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 62 del 5 aprile 2013, ha cassato questa possibilità, dal momento che “L’art. 29 in esame deve essere ascritto alla materia agricoltura riservata alla competenza legislativa residuale delle Regioni: ne consegue che la norma viene a porsi in contrasto con l’art. 117 Cost. tanto se la si interpreti come attributiva di un potere regolamentare, quanto amministrativo”.

Oggi, il Governo prova a forzare ulteriormente la mano, riproponendo in due emendamenti all’art. 6 del cosiddetto Decreto del Fare, che aggiungono allo stesso articolo i commi 4 bis e 4 ter (vedere qui, a pag 195), il medesimo tentativo di imporre i commissari, stavolta eludendo ed aggirando persino quanto sancito dalla suprema Corte e cercando in maniera scomposta di ascrivere i progetti di riconversione degli zuccherifici al di fuori della materia “agricoltura”, per superare le sopra citate motivazioni della Consulta.

Questo tentativo appare piuttosto incoerente con l’intero quadro normativo in cui si collocano i progetti di riconversione del settore bieticolo-saccarifero e la loro implementazione: lo stesso regolamento (CE) n. 320/2006 del Consiglio, del 20 febbraio 2006 (leggi il testo), al quale nel comma 4 ter vengono fatti riferire i progetti in questione, è “relativo a un regime temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero nella Comunità europea, che modifica il regolamento CE n. 1290/2005 relativo al funzionamento della politica agricola comune”(come ricordato dalla stessa Consulta nella sentenza sopra citata).

Non è chiaro inoltre sulla base di quali criteri, nella proposta di comma 4bis, vengano definiti “di interesse strategico” e “priorità di carattere nazionale” impianti devastanti per il territorio come le mega centrali proposte nella gran parte delle riconversioni, che drenano miliardi di euro di incentivi pubblici a vantaggio di pochi (im)prenditori.

Il M5S si opporrà, dentro e fuori le aule parlamentari, a questo ennesimo tentativo di passare sopra tutto e tutti, persino sopra i diritti primari sanciti dalla Costituzione e dai giudici costituzionali, esigendo il rispetto delle regole e del volere dei cittadini, ad iniziare già dalla presentazione di un OdG per la seduta della Camera di oggi, a firma del deputato Donatella Agostinelli.

Riteniamo che su temi come questi non ci si possa più dividere sulla base di appartenenze partitiche, sfuggendo alle proprie responsabilità: invitiamo pertanto tutti i parlamentari provenienti dalle Regioni interessate alle riconversioni (Marche, Abruzzo, Toscana ed Emilia Romagna in primis), sulle quali potrebbero ricadere gli effetti di illegittimi commissariamenti ad acta, a contrastare con forza ed a far rimuovere i commi 4bis e 4 ter dell’art. 6 che ripropongono tali commissari.

Come parlamentari abbiamo il DOVERE di far rispettare la Costituzione ed i Diritti dei cittadini, senza piegarli alle esigenze dei soliti noti a scapito della intera collettività.

Roma, 24 Luglio 2013

Andrea Colletti, Donatella Agostinelli, Vittorio Ferraresi, Andrea Cecconi, Patrizia Terzoni – Deputati Movimento 5 Stelle


Pescara: il filobus al capolinea?

Con l’interrogazione a risposta scritta n. 4/01271 (leggi il testo completo) abbiamo chiesto al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e al Ministro dell’Ambiente se siano a conoscenza delle gravi criticità riguardanti l’appalto della Filovia Pescara-Montesilvano e se ritengano, nell’ambito delle rispettive prerogative e competenze, di attivarsi per valutare l’opportunità di proseguire la realizzazione di un’opera fortemente controversa, invisa ai cittadini che gravitano sul tracciato riservato e che costituiscono, principalmente, i potenziali fruitori del servizio, tanto più che l’opera, ancorché destinataria di un cospicuo finanziamento pubblico, appare priva dei fondamenti tecnico-economici a presidio di un equilibrato rapporto costi/benefici per la Comunità, in netto contrasto col dettato della Legge n. 211 del 26 febbraio 1992.

A Pescara, da oltre due anni, un buon numero di Associazioni e Comitati si batte contro la messa in opera del sistema di trasporto pubblico elettrificato denominato TPL Pescara-Montesilvano, consistente in una filovia di soli 5,750 km di percorso dal costo stimato di 31 milioni di euro.

Il finanziamento, disposto ai sensi della Legge n. 211 del 26 febbraio 1992, è stato infatti accordato dal CIPE alla Stazione appaltante in assenza del prescritto “parere favorevole” della Commissione di Alta Vigilanza (CAV).

Sussiste poi un’accertata inadeguatezza strutturale del tracciato riservato, dal momento che il sottofondo della c.d. “Strada Parco” (ex tracciato della linea ferroviaria adriatica) è privo del necessario basamento in calcestruzzo armato cui ancorare stabilmente i markers magnetici della guida automatica vincolata in dotazione al rotabile.

Il progetto, peraltro, non è mai stato assoggettato alla procedura V.I.A., ancorché dovuta, anche ai sensi della vigente normativa ambientale comunitaria. Attualmente è in corso una procedura (tardiva) di Screening di VIA a sanatoria.

Ulteriori criticità dell’appalto attengono alle difformità tecniche che sarebbero state riscontrate tra il veicolo offerto in gara, sulla carta a guida magnetica vincolata e a tecnologia altamente innovativa in grado di surclassare i rotabili proposti dalle altre due ditte concorrenti, ed il Phileas effettivamente consegnato in deposito alla Stazione appaltante GTM il 19 novembre 2011.

Dopo il tanto declamato impiego di alta tecnologia – con un investimento che supera di tre volte quello di una filovia tradizionale (la Commissione di Alta Vigilanza aveva valutato in 10 milioni di Euro il costo di una filovia convenzionale di appena 8 Km in luogo dei 31 milioni erogati dal CIPE il 19 dicembre 2002), viene nei fatti fornito un obsoleto filobus sulla tratta riservata, dal devastante impatto ambientale sul pregevole stato dei luoghi, che si trasforma poi in un normale autobus a gasolio nel centro cittadino, per di più dall’altissimo inquinamento atmosferico procurato dall’abnorme consumo di carburante (1 Km/litro).

Ciò, in evidente contrasto con le prescrizioni del Ministero dei Trasporti, di cui alla Relazione n. R.U. 59885 (TIF5)/211 PE del 6 dicembre 2006, pag.14, e con quanto risultante in sede di gara, laddove l’appalto era stato indetto e vinto con l’aggiudicazione di una commessa di 25 milioni di Euro, volta alla creazione di un sistema innovativo a tecnologia avanzata per il trasporto pubblico locale di massa a bassissimo inquinamento atmosferico.


Ripensiamo all’accorpamento dei tribunali abruzzesi

I deputati abruzzesi del Movimento 5 Stelle hanno chiesto (con interrogazione a risposta scritta n. 4-00515) al ministro della Giustizia di analizzare più attentamente le conseguenze negative, in termini di economicità ed efficienza del sistema giudiziario, generate dalla soppressione delle sedi distaccate dei tribunali di Avezzano e Sulmona disposta dai decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012 che, in attuazione della legge 148 del 2011, hanno rimodulato i confini delle circoscrizioni giudiziarie prevedendo la cancellazione a livello nazionale di 31 tribunali e altrettante procure nonché la soppressione di 220 sezioni distaccate.

In particolare, a partire dal 13 settembre 2015, le sedi di Sulmona ed Avezzano saranno accorpate al tribunale de L’Aquila che acquisirà così gli atti degli 11.350 procedimenti presenti ad Avezzano (8.303 civili e 3.047 penali) e dei 5.349 procedimenti pendenti presso il tribunale di Sulmona (3.464 civili e 1.885 penali).

Avezzano, con i suoi circa quarantamila abitanti, è il comune di riferimento dell’intero territorio della Marsica che conta circa centomila abitanti. Avezzano risulta essere il terzo tribunale d’Abruzzo, sia per il volume di attività sia per il numero di contenziosi pendenti. La sua importanza deriva anche dalla posizione geografica, dal momento che attraverso la Marsica fanno il loro ingresso in Abruzzo quanti provengono dal basso Lazio e dalla Campania, aree tradizionalmente critiche in termini di criminalità organizzata.

Per via della sua collocazione, la sezione distaccata di Sulmona permette invece ai comuni dell’Alto Sangro e dei più distanti territori dell’Abruzzo montano di accedere alle sedi giudiziarie. In quest’ottica il tribunale di Sulmona copre un’area di servizio molto vasta, di circa 7.000 chilometri quadrati, ed assicura una vantaggiosa contiguità territoriale tra struttura penitenziaria e giudiziaria, visto che all’interno della propria struttura penitenziaria è ubicato uno dei più grandi e importanti carceri del centro-sud.

I parlamentari abruzzesi hanno evidenziato che il tribunale di Sulmona ha peraltro avviato da tempo il cosiddetto «Processo telematico» ed è attualmente tra le realtà operative più virtuose da questo punto di vista. L’innovazione delle procedure ha infatti consentito di aumentare sensibilmente la quantità di atti (citazioni, ricorsi, memorie difensive, decreti, sentenze, e altro) trasmessi in via telematica attraverso il sistema certificato.

Non vi è dubbio che la soppressione delle sezioni distaccate di Avezzano e Sulmona porterebbe ad un aumento dei carichi di lavoro per i tribunali centrali, con conseguente allungamento della durata dei processi ed ulteriore aggravio di costi per la collettività.


Pescara: che fine ha fatto la “multa fantasma”?

Con un’interrogazione a risposta scritta (atto Camera dei Deputati n. 4-00363) abbiamo chiesto al Ministro dell’Interno di convocare il Questore Paolo Passamonti, affinché questi riferisca i motivi dell’inspiegabile sparizione della contravvenzione per divieto di sosta emessa a suo carico nel 2011 dalla Polizia municipale di Pescara.

L’8 dicembre di quell’anno, infatti, la vettura di proprietà del Questore, posteggiata nello spazio riservato alla fermata dell’autobus in una via del centro di Pescara, veniva rimossa e veniva trasportata presso il deposito della polizia municipale locale.

Successivamente, però, lo stesso questore veniva autorizzato a riprendere possesso dell’auto senza corrispondere alcun importo né a titolo di sanzione amministrativa né per le spese di rimozione e deposito del mezzo.

La vicenda ha inevitabilmente generato il sospetto di un ingiustificato privilegio a favore del Questore Passamonti, dato che i proprietari delle altre tre vetture rimosse quello stesso giorno nelle medesime circostanze hanno dovuto pagare non solo la multa, ma anche le spese accessorie previste.

A marzo 2013, l’indignazione per l’accaduto ha indotto i cittadini pescaresi a presentare un esposto-denuncia ai Carabinieri per censurare l’operato della Polizia municipale e del Questore.

In seguito alla presentazione dell’esposto il Sindaco di Pescara, Luigi Albore Mascia, e l’assessore con delega alla Polizia municipale, Giovanni Santilli, hanno richiesto un chiarimento ufficiale al comandante dei vigili urbani, Colonnello Carlo Maggitti.

Detto chiarimento, ad oggi, non è stato ancora formalizzato e, mentre anche il questore Passamonti tace, le istituzioni sembrano essere inerti a dispetto dei diritti dei cittadini e del principio di uguaglianza costituzionalmente garantito.

Come se non bastasse, lo scorso 4 aprile la Procura della Repubblica di Pescara ha addirittura disposto la perquisizione dell’abitazione e dell’ufficio di Marco Patricelli, giornalista del quotidiano Il Tempo ed autore dell’inchiesta sulla «multa fantasma» di cui sopra. L’ipotesi di reato contestatogli è la violazione del segreto investigativo (articoli 114 e 329 del codice di procedura penale).

Tale iniziativa ci sembra assolutamente impropria, considerata la necessità di garantire adeguatamente la piena manifestazione della libertà di stampa, della libertà di espressione e del diritto di cronaca, imprescindibili baluardi della nostra democrazia e della lotta agli abusi di potere e alle prevaricazioni.